PKF 2007

Un festival, due vie, trenta film

Siamo arrivati alla seconda edizione del Roma Kolno’a Festival. Vogliamo proseguire sulla strada intrapresa l’anno scorso, quando la piccola e modesta rassegna di film israeliani e di argomento ebraico che il Centro Ebraico Pitigliani organizzava da quattro anni, si è trasformata dopo una lunga gestazione in un festival vero e proprio, grazie alla passione anche alla dedizione del direttore artistico che ci ha preceduti, Maurizio G. De Bonis. Camminiamo sulla stessa strada e lo facciamo non per inerzia, ma per la volontà di approfondire e allargare l’orizzonte dei nostri, e dei vostri interessi per il cinema israeliano e il cosiddetto cinema ebraico. Il legame tra questi due diversi ambiti non è evidente di per sè; si tratta infatti di due realtà assai diverse tra loro. Per cinema israeliano si intende innanzitutto l’insieme di film prodotti nello Stato di Israele. Come per il cinema italiano, anche per la classificazione di “cinema israeliano” si intende un modo di fare film distinto da quello di altre cinematografie nazionali, sia dal punto di vista della forma che dei contenuti. Il cinema israeliano ha una sua storia, una sua tonalità e si evolve in un ambiente sociale del tutto particolare. Quello che invece chiamiamo il cinema di argomento ebraico non ha confini ben definiti. Si tratta di una cinematografia che affronta la cultura ebraica direttamente o in senso lato, e che ad essa si ispira. In questa categoria è possibile includere film provenienti dai quattro angoli della terra (per lo più della Diaspora, meno da Israele). Film che si occupano del mondo ebraico, di ebraismo, della famiglia ebraica, ma anche pellicole che sono state realizzate da registi ebrei e che non affrontano direttamente questa cultura, ma contengono in nuce elementi e motivi propri delll’ebraismo, in modo “sotterraneo”, non percepibili a prima vista.

La presenza in un unico festival di questi due ambiti cinematografici ben distinti rende possibile, così speriamo, la conoscenza della specificità di ciascuno di loro, ma anche la scoperta dei numerosi punti di contatto, di cui forse non saremmo stati del tutto consapevoli prima di vedere questi film “in sequenza”, in un confronto diretto. Chi di voi deciderà di avventurarsi nei meandri del nostro variegato programma si imbatterà ad esempio in tre cortometraggi prodotti dalla “Maale” – scuola superiore di cinema di Gerusalemme e concepita per studenti religiosi. Questi giovani registi riservano molte sorprese e nonostante operino sotto la stretta sorveglianza di un rabbino, incaricato di controllare i loro lavori, affrontano con grande originalità e spregiudicatezza cruciali questioni di estetica e di narrazione cinematografica (considerata anche la complessità del concetto dell’immagine nell’ebraismo). Pur rimanendo fedeli alla loro comunità di origine, questi registi si rivolgono anche al pubblico israeliano laico. In quale categoria inserire questi film? nel cinema israeliano? O in quello ebraico? (a volte le categorie non funzionano). Altra pellicola che proporremo al pubblico italiano è “My Father My Lord”, diretta dal regista David Volach (nato in seno a un’ortodossia poi abbandonata): il film, interamente ambientato nella comunità ultraortodossa di Gerusalemme, solleva molte questioni, ma sono queste soltanto religiose o appartengono anche (se non di più) agli abitanti della Tel Aviv laica? E ancora un’altra sorpresa: “BeYiddish Ze Nishma Yoter Tov” (“In Yiddish è meglio!”) di Modi Baron e Anat Seltzer, film che narra la storia di Dzigan e Schumacher, una coppia di comici che per il fatto di recitare in lingua yiddish non furono ben accolti in Israele – la terra degli ebrei (l’yiddish era la lingua degli ebrei dell’ Europa orientale prima della Shoa, così in Israele per un certo periodo fu considerata come un tabù).

Il nucleo del programma è costituito da sette lungometraggi israeliani di finzione. Film di veterani del cinema e di giovani leve che hanno avuto notevole successo negli ultimi anni, conquistando l’attenzione e l’interesse del pubblico israeliano (con risultati che, relativamente alla dimensione del paese, possono altrove sembrare invidiabili). Film proiettati in festival internazionali dove spesso ricevono importanti riconoscimenti (si pensi ad esempio a “Meduse” di Etgar Keret e Shira Gefen o ancora a “Biqur HaTizmoret” di Eran Kolirin che sono tornati dall’ultimo festival di Cannes con due prestigiosi premi: la caméra d’or e il prix de la critique internationale) e sono stati poi distribuiti su scala internazionale (i diritti per la distribuzione in Italia di Sweet Mud, che presenteremo al nostro festival alla presenza dell’ attrice Ronit Yudkevitch, sono stati già acquistati in Italia da Metacinema). Accanto al cinema di fiction vogliamo anche porre l’attenzione sul documentario – che è senza dubbio il fenomeno più interessante del nuovo cinema israeliano. I film presentati durante il festival affrontano una serie considerevole di argomenti. Non solo il conflitto israelo-palestinese (da cui è comunque impossibile prescindere), ma anche lo spietato mondo del lavoro in Israele, con nuovi e vecchi immigrati, il terrorismo, la tradizione araba, e la grande ombra della Shoa che incombe (a volte anche questo è punto di contatto tra il cinema israeliano e quello di argomento ebraico). Presenteremo pellicole non solo in ebraico ma anche in amarico, in arabo, in tedesco, in inglese (con sottotitoli in italiano). Eppure sono tutti film israeliani, film personali e film sociali, film di viaggio e film di introspezione, commedie leggere e terribili tragedie. La quintessenza del cinema, dunque.
Nel percorso che abbiamo intitolato “Identità e umorismo” verranno presentati invece tre film di registi ebrei americani, di origini europee (mentre i comici Dzigan e Schumacher venivano censurati in Israele, il teatro yiddish conquistava New York e faceva ridere intere platee): Woody Allen, David Alan Mamet e Mel Brooks, perché dietro il loro cinema si nasconde una profonda riflessione sull’identità ebraica, lontana anni luce dalla semplice classificazione di “umorismo ebraico” con la quale a volte si tenta di categorizzare questi film e si finisce per liquidarli superficialmente. Per questa sezione abbiamo scelto tre pellicole molto diverse tra loro. C’è il Mamet inedito della commedia con Hollywood Vermont, la comicità della parola di Brooks con Frankenstein Junior, e un il film di un Woody Allen filosofo, Harry a Pezzi.

Per l’altra sezione dedicata all’argomento ebraico abbiamo scelto di fare un piccolo omaggio ad un grande regista: Daniel Burman, giovane cineasta della Nouvelle Vague argentina. El Abrazo Partido e Aspettando il Messia di Burman mettono in luce alcuni aspetti dell’ebraismo. Ma pongono anche questioni che appartengono al nostro tempo, come vivere la propria identità all’alba del nuovo millennio, cercando di orientarsi in un mondo globalizzato.
Quest’anno abbiamo cercato di rivolgerci anche agli spettatori giovanissimi, così ci saranno due proiezioni speciali dedicate agli studenti delle scuole. Per molti di loro sarà forse la prima volta che entreranno in una sala cinematografica per vedere un film israeliano seguito da un dibattito.
Per tutti invece ci saranno numerose occasioni per discutere dei film dopo le proiezioni, insieme agli ospiti venuti appositamente da Israele. Ci sarà anche una conferenza sul nuovo cinema israeliano. Poi ci sarà anche un dibattito dopo la proiezione del film “My Father My Lord” in cui interverranno degli “esperti in materia” per affrontare le complesse questioni proposte dal film.
Infine è importante ricordare che i film sono realizzati dai registi e non dai curatori del festival. L’emozione e la riflessione sorgono solo nell’incontro tra lo spettatore e l’opera nell’oscurità della sala di proiezione. Per questo invitiamo il pubblico a leggere attentamente il programma e a selezionare i film seguendo i loro interessi. Sarà meglio vedere due film del grande documentarista David Ofek, o invece assistere alla proiezione di due opere del provocatorio regista Tomer Heymann? Alcuni preferiranno costruire il proprio programma sui temi del femminismo, quindi sceglieranno di vedere “Cemetery Club” di Tali Shemesh, “Badal” di Ibtisam Mara’ana, “Tre Madri” di Dina Zvi Riklis, tre opere di tre eccellenti registe. Se invece chi sceglie è un giovane amante del cinema forse preferirà ridere ancora con Frankenstein Jr. di Mel Brooks in proiezione notturna, di perdersi nei labirinti dell’enigmatico “Frozen days” di Danny Lerner o semplicemente sceglierà di trascorrere la serata in compagnia delle Drag Show Girls protagoniste di “paper Dolls”. Questo è lo spirito di un festival. La libertà di scegliere il proprio film e avere la possibilità di farsi guidare.

Direzione Artistica PKF

Dan Muggia e Ariela Piattelli

Dan Muggia. Con una laurea alla Beit-Zvi Drama School, e un master in cinema alla N.Y.U. ( e diplomato alla Mandel School for Educational Leadership), Dan è stato un attore, ed oggi critico cinematografico, insegnante e curatore. Fino al 2004 ha lavorato alla Israel Film Service e dopo ha pubblicato il suo primo libro: 100 Film Masterpieces. Ha prodotto il documentario “Naomi’s Corset” di Gerard Allon’s, che ha riscosso successo in vari festival (tra cui il Jerusalem Film Festival). E’ stato managing producer del South Film Festival 2005 di Sderot, e membro della giuria al Docaviv International competition, al Jewish Experience competition del Jerusalem film Festival. Oggi Dan insegna cinema in Israele, al Sapir College e alla Beit Berl Art School.

Ariela Piattelli è nata a Roma, dove ha studiato al DAMS di RomaTre e si è laureata in Storia e critica del cinema. Oggi è giornalista e collabora con « Il Corriere della Sera ». In passato ha collaborato per alcune testate, tra cui « Il Giornale », l’agenzia Apcom (al desk di New York ) e la rivista di cultura ebraica « Shalom » di cui è ancora redattrice. Nel corso degli anni ha approfondito gli studi sul rapporto tra arti figurative ed ebraismo, e nei suoi numerosi viaggi in Israele è venuta a contatto con il cinema israeliano. Dal 1998 è consulente dell’Ambasciata d’Israele in Italia per iniziative culturali e festival cinematografici. E’ stata membro della giuria al Jerusalem Film Festival 2008 (per la sezione “Jewish Experience”) ed è curatrice insieme a Raffaella Spizzichino e Shulim Vogelmann, del Festival Internazionale di Letteratura Ebraica. Nell’ultimo anno ha prodotto alcuni eventi culturali tra Italia e Israele, tra cui il concerto di Idan Raichel Project a Roma (Piazza del Campidoglio, in collaborazione con Zètema) e l’anteprima italiana di “Seven Days” di Ronit e Shlomi Elkabetz, nell’ambito del Festival Internazionale del Film di Roma.


Sguardo sul nuovo cinema israeliano

Aviva my love di Shemi Zarhin, Israele, 107′
Aviva my love PKF 2007

Aviva (Asi Levi) è impiegata nelle cucine di un grande albergo a Tiberiade ma il suo sogno è di diventare una scrittrice a tutti gli effetti. Ha un marito disoccupato (Dror Keren), tre figli problematici, una madre affetta da disturbi psichici (Levana Finkelstein) e una sorella (Rotem Aboav) – donna dotata di un gran senso dell’umorismo e anch’essa con desideri d’evasione. Grazie all’ incoraggiamento e l’appoggio della sorella, Aviva incontra Oded (Sason Gabai), un noto scrittore, che le promette di farla diventare una vera scrittrice. Tuttavia il sogno non tarda a trasformarsi in un incubo e Aviva si troverà a fare i conti con la sua vita, scoprendo però così anche la sua voce interiore e guadagnandosi la sua indipendenza.

Il film, che ha riscosso un notevole successo di pubblico e ottenuto numerosi premi, è opera di Shemi Zarhin, regista e sceneggiatore, veterano del cinema israeliano. Si tratta di un melodramma, commovente e divertente al tempo stesso, che si svolge in un Israele di periferia. Zarhin traccia il profilo di una famiglia che ha difficoltà a sbarcare il lunario e che cerca di prendere parte al recente boom economico israeliano senza pur tuttavia perdere la propria autenticità.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Genere: Lungometraggio
Durata: 107
Lingua: Ebraico
Regia: Shemi Zarhin
Sceneggiatura: Shemi Zarhin
Montaggio: Einat Glaser Zarhin
Fotografia: Itzik Portal
Musica: Jonathan Bar-Giora
Cast: Asi Levi, Rotem Abuhav, Levana Finkelstein, Dror Keren, Sason Gabai, Natan Raviz, Dana Ivgi, Etay Turgeman
Produzione: Moshe Edri, Leon Edri – United King, David Silber, Micky Rabinovitz – Metro communication

Free Zone di Amos Gitai, Belgio, Francia, Giordania, Israele, Spagna, 90′
Freezone - PKF 2007

Rebecca è una donna americana, adesso da alcuni mesi vive in Israele, a Gerusalemme e sta per sposarsi. Le cose però non vanno per il verso giusto e viene rotto il fidanzamento. A bordo di un taxi conosce una ragazza israeliana, Hanna, che le confida di essere diretta in Giordania, nella “zona franca” dove deve recuperare dei soldi da parte di alcuni americani, soci di suo marito. Così Rebecca accompagna Hanna in questo viaggio che riserva molte sorprese.

Primo film israeliano girato in Giordania, Free Zone si aggiudica il premio per la migliore interpretazione femminile di Hanna Laslo al Festival di Cannes nel 2005. La star Natalie Portman, che interpreta il ruolo di Rebecca ed è nata a Gerusalemme, ha chiesto di sua volontà a Gitai di recitare nel suo film.

Anno: 2005
Nazione: Belgio, Francia, Giordania, Israele, Spagna
Durata: 90
Regia: Amos Gitai
Sceneggiatura: Amos Gitai, Marie-Jose Sanselme
Montaggio: Isabelle Ingold, Yann Dedet
Fotografia: Laurent Brunet
Musica: Jaroslav Jakubovic, Chava Alberstein
Cast: Natalie Portman, Hanna Laslo, Hiam Abbass, Carmen Maura, Makram Khoury, Aki Avni, Uri Klauzner, Shredy Gabarin, Adnan Tarabshi, Liron Levo, Tomer Russo
Produzione: Nicolas Blanc, Michael Tapuach, Laurent Truchot

Frozen Days di di Danny Lerner, Israele, 90′
Frozen Days PKF 2007

Miao è una giovane trafficante di droga di Tel Aviv che trascorre le sue notti girovagando per strada e per bar. Dorme in appartementi vuoti dove penetra per effrazione e passa il suo tempo libero davanti allo schermo del computer. Una sera, dopo che le è stato rubato il motorino, decide di fissare un appuntamento in un bar con Alex, con cui sino ad ora ha mantenuto un contatto soltanto via chat. Il programma è sconvolto da un tremendo attentato. Quando Miao trova Alex in un ospedale, in coma profondo a causa dell’attentato, decide di andare a vivere nel suo appartamento vuoto. Poco a poco i vicini la identificano come “Alex”, ma una volta indossati i suoi vestiti e preso il suo lavoro, ella si trova ad affrontare una realtà pericolosa.

Sulla base di una situazione che ricorda quella di The Tenant di Roman Polanski (e a cui il film allude più volte), Danny Lerner è riuscito a creare con questo suo primo lungometraggio un’ opera cinematografica enigmatica e forte che ripercorre in bianco e nero il trauma dell’Israele di oggi, nell’epoca degli attentati suicidi.

Anno: 2005
Nazione: Israele
Durata: 90
Regia: Danny Lerner
Sceneggiatura: Danny Lerner
Montaggio: Tal Keller
Fotografia: Ram Shweki
Musica: Tomer Ran
Cast: Anat Kalusner, Sandra Sade’, Uli sternberg, Pini Tavger
Produzione: Danny Lerner, Alon Lerner

My Father, my Lord di David Volach, Israele, 80′
My father My Lord PKF 2007

My Father, my Lord – Hufshat kaitz (Vacanza d’estate)

Una piccola famiglia di ebrei ortodossi, composta dal padre (interpretato da Asi Dayan), madre (Sharon Hacohen-Bar) e figlio (Ilan Grif), si apprestano a partire per una gita al Mar Morto, dove però li attende una terribile tragedia. E Dio? Il suo silenzio continua.
Come in “Io sono il tuo Signore”, primo capitolo del decalogo, la monumentale serie televisiva di Kristof Kieslowski, anche in questo film viene trattata la questione dell’imperativo divino nel mondo moderno, tramite la riattualizzazione della storia del sacrificio di Isacco. Con grande sobrietà, il film pone i suoi protagonisti e il suo pubblico di fronte ad interrogativi sull’essenza della fede e la presenza del dubbio.

David Volach, regista cresciuto nel mondo ortodosso, non offre soltanto uno sguardo, ma permette realmente di penetrare all’interno dell’universo religioso dell’ortodossia lituana, una cultura basata sull’Halakha (la legge religiosa ebraica), un contesto elitario ed esclusivo, in cui si sono formati tutti i padri dell’ortodossia ebraica, tanto in materia legale, spirituale, e politica, sia in Israele e nel resto del mondo. Il film ha ottenuto il premio come migliore film nell’ edizione 2006 del festival di Tribeca a New York.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 80
Regia: David Volach
Sceneggiatura: David Volach
Montaggio: Haim Tabacmen
Fotografia: Boaz Yehonatan Yaakov
Musica: Tomer Ran
Cast: Asi Dayan, Ilan Griff, Sharon Hacohen
Produzione: Eyal Shirai

Sweet Mud di Dror Shaul, Israele, 97′

Sweet Mud – Adama Meshugaat (Terra folle)

Storia dell’adolescienza di Dvir Avni, ragazzo di dodici anni, cresciuto in un kibbutz del sud di Israele negli anni settanta. Al compimento del tredicesimo anno, raggiunta la maggiorià religiosa (il Bar Mitzva), Dvir scopre che sua madre non è sana di mente. Si vede quindi costretto a barcamenarsi tra i principi egualitari del kibbutz e il suo rapporto complesso con la madre, dovendo così precocemente maturare ed affrontare una scelta tremenda che gli cambierà la vita.

Dror Shaul, regista e sceneggiatore, fa i conti, non per la prima volta, con il socialismo del kibbutz in cui è nato e cresciuto. Ricorrendo al grottesco e alla caricatura, egli cerca di mettere in ridicolo e di criticare spietatamente il dogmatismo e l’ipocrisia di una società il cui fanatismo a volte sfiora la follia ai limiti del disumano. Shaul porta il discorso alle estreme conseguenze, rappresentando una società “folle” che arbitrariamente sceglie di non comprendere la malattia mentale della madre nel mondo “dei sani”.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 97
Regia: Dror Shaul
Sceneggiatura: Dror Shaul
Montaggio: Isaac Sehayek
Fotografia: Sebastian Edschmid
Musica: Tsoof Philosof, Adi Renart
Cast: Tomer Steinhof, Ronit Yudkevitch, Henri Garcin, Shai Avivi, Danielle Kitzis, Gal Zaid
Produzione: Sharon Shamir, Dror Shaul, Johannes Rexin, Edgar Tanembaum, Philippa Kowarsky

Tre madri di Dina Zvi-Riklis, Israele, 106′
Tre madri - PKF 2007

Tre madri – Shalosh Imahot

Rose, Yasmine e Flora sono tre sorelle gemelle nate in Egitto. In occasione della loro nascita persino il re Faruk si reca a rendere omaggio alla famiglia. La madre muore quando le bambine sono ancora piccole e il padre, commerciante in difficoltà, decide allora di emigrare in Israele. Rose è la più bella e forte delle tre, Flora è invece quella di più buon cuore e di miglior temperamento, mentre Yasmine sogna ad occhi aperti. Sono cresciute mantenendo tra loro un legame fortissimo, al punto da farle somigliare a un animale a tre teste.
All’età di sessant’ anni passati vivono ancora insieme nella stessa casa e decidono di raccontare alla figlia di Rose la vicenda della loro agitata e soprendende esistenza, rivelando i loro segreti, la natura del loro particolare legame, i loro peccati, tradimenti ed errori, in modo da “liberare” la generazione più giovane da un passato talvolta opprimente.

Dina Zvi-Riklis, tra le voci femminili più importanti del cinema israeliano, pone nuovamente al centro della sua cinematografia una famiglia israeliana di origini orientali. All’opposto della tradizione del cinema sociale israeliano Zvi-Riklis si occupa indipendentemente di una comunità sefardita senza confrontarla con il mondo ashkenazita (ebrei provenienti dall’Europa) di Israele.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 106
Regia: Dina Zvi-Riklis
Sceneggiatura: Alma ganihar, Dian Zvi-riklis
Montaggio: Tova Asher
Fotografia: Shai Goldman
Musica: Shmulik Noifeld con Ori Zakh
Cast: Gila Almagor, Miri Mesika, Rivka Raz, Raymond Amsalem, Tracy Abramovich, Dana Zilberstein, Tali Sharon
Produzione: Ifat Prestelnick, Eran Riklis

What a Wonderful Place di Eyal Halfon, Israele, 104′
What a Wonderful Place - PKF 2007

What a Wonderful Place – Eize Maqom Nifla (Che posto meraviglioso)

Jana, giovane ucraina introdotta illegalmente in Israele come prostituta, ha una grossa macchia sul viso che la rende inabile al lavoro, ragion per cui si trova a dovere lavare i pavimenti dei bordelli nella parte meridionale di Tel Aviv. Vissit, ingenuo operaio tailandese impiegato in una colonia agricola nel deserto, sogna a una visita ufficiale in Israele della principessa della casa reale del suo paese. Eddie, filippino che si occupa di anziani (e giocatore d’azzardo incallito) cerca disperatamente di difendere il proprio onore, mentre Franco, ex-ufficiale di polizia, lavora per i “boss” e di tanto in tanto riceve lezioni di nuoto da Jana di cui forse si invaghisce.

Quattro storie, apparentemente senza rapporto tra di loro e che si svolgono in Israele, in luoghi diversi, finiscono con l’ intrecciarsi l’una con l’altra per formare insieme “un posto meraviglioso”. Un paese come tutti gli altri, pieno di immigrati che cercano lavoro e che soffrono di tutti i mali di una spietata globalizzazione.

Anno: 2005
Nazione: Israaele
Durata: 104
Regia: Eyal Halfon
Sceneggiatura: Eyal halfon
Montaggio: Einat Glaser Zarhin
Fotografia: Nili Aslan
Musica: Avi Belleli
Cast: Uri Gavriel, Evelyne Kaplun, Yossi Graber, Avi Oria, Yosav Hait, Ramon Bagatsing
Produzione: Assaf Amir, Yoav Roeh

Ma’ale School di AA.VV, Israele, 45′

Sono quasi vent’anni che è attiva a Gerusalemme una scuola di cinema concepita per studenti religiosi. Vi si studiano tutte le professioni del cinema sotto la supervisione di un rabbino che segue tutte le sceneggiature per essere sicuro che gli studenti facciano film che non urtino la sensibilità religiosa o contravvengano alla legge ebraica.

Tre film della scuola saranno proiettati in questa sede in un’unica giornata.

La moglie del Cohen (Eshet Cohen )

Nava Heifetz

Rivki Cohen, una giovane ortodossa, apre la porta a uno sconosciuto che la violenta. Adesso è in attesa che il tribunale rabbinico decida se suo marito Motl debba divorziare da lei. Secondo l’Halakha (la legge ebraica) infatti “la moglie di un Cohen (appartenente a classe sacerdotale) che è stata violentata non può più convivere col marito…”

Eikha

Eliezer Shapiro

Eikha è una ragazza cresciuta nel mondo dei coloni di Giudea e Samaria. I suoi genitori l’hanno chiamata col nome ebraico del libro delle lamentazioni di Geremia che si legge il nono giorno del mese di Av, in commemorazione della distruzione del Tempio. Il nove di Av è anche il compleanno di Eikha. La ragazza, compiuti i diciotto anni, chiede di cambiare il suo nome, cercando di vivere la sua vita fuori dall’universo di simboli, di slogans e adesivi che caratterizzano il mondo da cui proviene.

Blind date (Hoq HaDatiim HaSheluvim)

Ilan Eshkol

Ely, scapolo religioso, va a una blind date contro voglia. Porta la ragazza sbagliata in una notte folle e strana per le strade di Gerusalemme. Commedia romantica di singles religiosi.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Genere: Cortometraggio
Durata: 45
Lingua: Ebraico
Regia: AA.VV

Focus sulla nuova cinematografia documentaria israeliana

9 Star Hotel di Ido Haar , Israele, 78′
9 Star Hotel - PKF 2007

9 Star Hotel – Malon 9 Kochavim (Albergo 9 stelle)

Il film descrive la vita quotidiana di giovani palestinesi che vivono nascosti nelle colline circostanti alla città di Modiin. Con le prime luci dell’alba escono dai loro nascondigli per andare a lavorare nei diversi siti di costruzione della città. Ahmed (19 anni) e Mohamad (20 anni), i protagonisti del film, si sono incontrati nel loro rifugio di fortuna. La consapevolezza di essere l’unico supporto economico per le loro famiglie, le condizioni penose di lavoratori “illegali” e la coscienza politica, non gli tolgono la ragione l’ energia, la voglia di scherzare, né i loro sogni d’adolescenti. Malgrado gli arresti, le fughe e le trappole tese dalla polizia, essi riescono a crearsi un mondo vitale e sorprendente, fatto di gran senso dell’umorismo misto a dolore e nostalgia.

Il regista Ido Haar è riuscito, tra mille pericoli e difficoltà, a penetrare all’interno di questa comunità di “illegali”, riportandone un’immagine ravvicinata di giovani senza futuro che partecipano alla costruzione di Modiim, città che dovrebbe diventare tra le più importanti di Israele. Evitando facili stereotipi, egli ha realizzato un documento civile corrosivo che dovrebbe togliere il sonno ad ogni persona, indipendentemente dalle sue posizioni politiche.
 

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 78
Regia: Ido Haar
Montaggio: Ido Haar (Era Lapid)
Fotografia: Ido Haar, Uri Akerman
Musica: Ido Haar
Produzione: Edna Kowarsky, Elinor Kowarsky

Badal di Ibtisam Mara’na, Israele, 56′
Badal - PKF 2007

Badal è il nome dei matrimoni combinati in cui un fratello e una sorella si sposano con un fratello e una sorella di un’altra famiglia, legando così per sempre le due coppie a doppio filo. Il divorzio di una coppia implica infatti necessariamente quello dell’altra. Così si suole nella società musulmana in Israele risolvere il “problema” di una figlia brutta, grassa o portatrice di handicap.
“Così Um Wagia, la mia zia sessantasettenne, ha educato i suoi dieci figli e figlie” rivela la regista. E il film è effettivamente girato nel cortile di Um Wagia che vive circondata dai figli e dalle figlie, tutti comandati a bacchetta. Ora Um Wagia cerca di organizzare un matrimonio badal per il figlio vedovo e per la figlia che a ventun’anni è ancora zitella, cosa che viene considerata del tutto anomale nella società musulmana. Si tratta di una storia familiare che ben rappresenta l’oppressione che delle donne infliggono ad altre donne.

Un altro film premiato della regista Ibtisam Mara’na – una voce femminile araba di grande coraggio che negli ultimi anni è molto presente sugli schermi israeliani.
 

Anno: 2005
Nazione: Israele
Durata: 56
Regia: Ibtisam Mara’na
Montaggio: Sara Salomon
Fotografia: Avigail Sperber, Daniel Miran, Yossi Leon
Musica: Uri Ofir
Produzione: Osnat Trabelsi

Bridge Over the Wadi di Barak e Tomer Heymann, Israele, 65′
Bridge Over the Wadi - PKF2007

Bridge Over the Wadi – Gesher Al HaWadi (Un ponte sul Wadi)

Per la prima volta in Israele è stata aperta in un villaggio arabo una scuola per arabi ed ebrei. Il film, realizzato dai fratelli Barak e Tomer Heyman, segue il primo anno di questa scuola mista a Kufr Qara, scoprendo le paure e le speranze dei genitori, dei docenti e dei bambini che cercano di dare un nuovo senso al concetto di convivenza.

Gesher Al HaWadi (Un ponte sul Wadi) è stato inizialmente concepito per una serie televisiva e solo successivamente è diventato un documentario. Dopo aver ottenuto il prestigioso premio Magnolia al festival di Shaghai, ha vinto il primo posto nel festival internazionale di Kiev e il premio del pubblico in quello di Praga dedicato ai diritti umani. A Roma il film arriverà direttamente dal festival di Haifa dove è stato proiettato in presenza del Ministro della cultura Raleb Magiadla – il primo ministro arabo in un governo israeliano dalla fondazione dello Stato.
 

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 65
Regia: Barak e Tomer Heymann
Montaggio: Arik Leibovitch, Amit Azaz, Erez Laufer & Ron Goldman
Fotografia: Daniel miran, Uri Levi & Itai Raziel
Musica: Eli Soorani
Produzione: Barak e Tomer Heymann

Day and Night di Sivan Arbel, Israele, 50′

Day and Night – Yom VeLaila (Giorno e notte)

E’ il primo di settembre e inizia la scuola. Un autobus, la separazione dal padre, una grande cartella, una piccola bimba. Si apre il portone, una nuova classe, 250 bambine, 6 ragazze in una stanza, una preghiera al giorno. Due telefoni pubblici, una madre e un padre lontani. “Di giorno non ne ho nostalgia. Solo di notte”. Due racconti: quello di una nuova bambina in collegio e quello di una “ex-bambina” dello stesso collegio, che torna per la prima volta, dopo 35 anni, sul luogo della sua infanzia.

Sivan Arbel inserisce nel suo film rari materiali di archivio che raccontano la storia dell’ “orfanotrofio femminile Weingarten” fondato a Gerusalemme nel 1902 e che attualmente è adibito a collegio per ragazze ebree ortodosse. L’istituzione è diretta da oltre sessant’anni dal rabbino Fishel Weingarten, la terza generazione dei fondatori. Un vecchio ortodosso che si ispira nel rispetto dell’infanzia all’insegnamento di Janusz Korczak.
Un film importante che annuncia la possibilità del cinema israeliano di abbandonare i grandi temi per riscoprire gli aspetti più locali, che sono alla fine anche quelli universali.

Anno: 2005
Nazione: Israele
Durata: 50
Regia: Sivan Arbel
Montaggio: Ayelet Ofarim
Fotografia: Tullyc Galon
Musica: Tolly Chen
Produzione: Odete & Youval Orr

L’ulpan di David Ofek, Israele, 123′
L'ulpan - PKF2007

L’ulpan – HaUlpan (Scuola di ebraico)

Chin ha lasciato una figlia in Cina ed è venuta in Israele per provvedere al suo sostentamento. Impiegata come donna di pulizie nella casa di Ehud, i due si sono innamorati… Sasha non ha mai pensato di emigrare in Israele, ma quattro anni dopo che la sua compagna è partita dalla Russia con la piccola figlia, ha capito che senza la bambina la sua vita non ha senso. Ha lasciato un lavoro fiorente sbarcando nella vecchia stazione degli autobus di Tel Aviv… Marisol è cresciuta come una principessina ebrea in Perù ed è arrrivata in Israele per imparare qualcosa sulla vita. Una gravidanza non programmata ha però cambiato i suoi progetti. Loro e tanti altri personaggi si ritrovano in un corso di ebraico, all’Ulpan, per studiare lingua con l’insegnante Yoela. Qui scopriamo le loro storie personali che si intrecciano con quella di Israele.

David Ofek, documentarista, ironico e di grande talento (di cui film anche “No.17” sarà proiettato durante il festival) ha seguito per un anno i suoi personaggi, dentro e fuori l’aula di scuola, nel tentativo di verificare se lo studio dell’ebraico è ancora il passaggio obbligato in Israele per la costruzione di un’identità nazionale.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 123
Regia: David Ofek
Montaggio: Ezouz
Fotografia: Ron Rotem
Musica: Oren Menashe, Idan Einav
Produzione: Edna Kowarsky, Elinor Kowarsky

No. 17 di David Ofek, Israele, 75′

No. 17 – HeHarug Ha-17 (La diciassettesima vittima)

Il cinque giugno del 2002 un terrorista palestinese si è avvicinato ad un autobus vicino a Megiddo facendosi saltare in aria. Il risultato: cinquanta feriti e diciassette morti. Una delle vittime non è stata identificata e la sua salma è stata sepolta in una fossa comune. David Ofek (di cui sarà proiettato durante il festival anche il suo “L’Ulpan”) ha seguito durante sei mesi la commissione il cui compito era di identificare la diciassettesima vittima. Non avendo nessuno reclamato il corpo, peraltro completamente dilaniato dall’esplosione, l’indagine si insabbia rapidamente. Ofek decide allora di iniziare un’indagine per conto suo, con gli strumenti del regista e non del poliziotto, lanciandosi in una missione impossibile. Tuttavia nel corso delle ricerche scopre la realtà israeliana. Proprio quando le ricerche sono a un punto morto, egli scopre un indizio inatteso che forse gli permetterà di risolvere il mistero…

Un’opera forte che cerca, con grande sensibilità, ironia e curiosità, di cambiare la realtà.

Anno: 2004
Nazione: Israele
Durata: 75
Regia: David Ofek
Montaggio: Aril Lahav Leibovitz
Fotografia: Ron Rotem
Musica: Ophir Leibovitz
Produzione: Elinor Kowarsky

Paper Dolls di Tomer Heymann, Israele, 83′
Paper Dolls - PKF2007

Paper Dolls – Bubot shel Niar (Bambole di cartapesta)

Alcuni immigranti filippini arrivati in Israele sette anni fa lavorano durante la settimana come badanti di persone anziane nei quartieri ortodossi di Benei Beraq, Yad Eliahu e Ramat Gan. Nel fine settimana però si truccano e si vestono da donna esibendosi in spettacoli drag in giro per il paese col nome di “bambole di cartapesta”. Il film mostra la singolare realtà sociale e politica di questo gruppo di persone, seguendole dal 2000 sino al 2005. Attraverso gli occhi dei personaggi si scopre la complessità e le varie sfaccettature dello Stato di Israele. Da una parte risulta come un paese razzista, orgoglioso, violento incapace di accogliere lo straniero e di rispettarlo. Dall’altra è anche un paese libero ed aperto, in cui ciascuno può trovare il proprio modo di vivere.

Come nei suoi precedenti film, Tomer Heyman (il cui film “Gesher Al HaWadi”, Ponte sul Wadi, sarà proiettato al festival) continua ad esaminare la società israeliana dalla prospettiva di chi vive ai margini. Come sempre egli si inserisce come personaggio del suo film in un percorso segnato al principio dal rigetto e dall’alienazione ma che si conclude con un’ amicizia coraggiosa e vera, in cui ciascuno scopre i propri limiti.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 83
Regia: Tomer Heymann
Montaggio: Lavi Ben-Gal
Fotografia: Itai Raziel
Produzione: Caludia Levin (Cala), Tomer Heymann

Sisai di David Gavro, Israele, 54′
Sisai - PKF2007

Sisai è un soldato di vent’anni immigrato in Israele nel 1990 dall’Etiopia. La madre biologica di Sisai muore quando il ragazzo ha solo dodici anni. Da allora è cresciuto nella famiglia Gavro che lo ha accolto come un figlio a tutti gli effetti. I genitori adottivi lo accompagnano orgogliosi in ogni suo passo: da giocatore nella locale e abbastanza scadente squadra di calcio, alla sua turbolenta relazione con la giovane etiope di nome Sivan. Fino a quando un giorno il padre torna dall’Etiopia con una notizia drammatica, quella del ritrovamento del padre biologico di Sisai, che è disposto ad incontrare il figlio.

Il giovane regista David Gavro parte col fratello adottivo Sisai per un viaggio alla scoperta dell’Africa. Sisai è confuso di fronte alla sua dolorosa storia di vita (e rendere ancora più complicata la situazione, la sua compagna scopre di essere incinta). La comunità in Israele non sempre lo aiuta. Nel viaggio i paesaggi africani gli sembrano estranei, ma anche famigliari. Il padre biologico lo accoglie e lo respinge al tempo stesso. Viaggio personale che rivela la storia complessa e sofferta di un’intera collettività.

Anno: 2005
Nazione: Israele
Durata: 54
Regia: David Gavro
Montaggio: Kobi Plumnik
Fotografia: Ronen Amar
Musica: Amit Cohen
Produzione: David Gavro, Avner Feingulernt, Yael Shavit

The Cemetery Club di Tali Shemesh, Israele, 90′
The Cemetery Club - PKF2007

The Cemetery Club – Moadon bet haQevarot (Il Circolo del cimitero)

Sono oltre vent’anni che ogni sabato mattina alle dieci precise i membri dell’ “Accademia del monte Herzl” si riuniscono all’ombra di una grande quercia (“nel posto più bello di Gerusalemme”), che si erge nel cuore del cimitero di Gerusalemme. Un gruppo di anziani, attrezzati di sedie pieghevoli e carichi di provviste, attraversa il cimitero del monte Herzl, per sedersi in cerchio e discutere di temi molto seri. Tra le tombe dei grandi della patria, parlano di storia della filosofia moderna, leggono poesie, pranzano e si preoccupano del destino del popolo ebraico. A volte si ritrovano per accompagnare nell’ultimo viaggio uno dei loro compagni.

Tali Shemesh, regista originale e coraggiosa, ha seguito durante cinque anni questo singolare gruppo di persone di cui fanno parte anche la nonna Minia e la zia Lena, due donne diversissime tra loro, che nonostante vedove hanno un entusiasmo di vivere da adolescenti. Grazie alla collaborazione e alla sensibilità del fotografo Sharon (Shark) De Mayo, Tali Shemesh ritrae la generazione dei sopravvissuti alla Shoa, in un modo del tutto inedito, pungente e comico al tempo stesso.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 90
Regia: Tali Shemesh
Montaggio: Aliza Esquira
Fotografia: Shark De-Mayo
Musica: Rona Kenan, Eldad Guetta
Produzione: Norma Productions, Assaf Amir, Guy Lavie

L’America, il cinema e gli ebrei. Sogno e tradizione

Frankenstein Junior di Mel Brooks, USA, 106′
Frankenstein Junior - PKF2007

Frankenstein Junior – Young Frankenstein

Il barone Viktor Von Frankenstein è un appassionato di ricerche scientifiche ed eredita da suo nonno un castello in Transilvania. Un giorno scopre un fluido con il quale si può riportare in vita un uomo morto. Così, dopo essere riuscito a trovare un corpo e un cerello, il barone riesce a creare un vero e proprio mostro. Quest’ultimo, che semina scompiglio ovunque, è un essere molto sensibile, il suo punto debole è il cuore. Così il mostro si innamora e sposa l’ ex fidanzata del barone, Elizabeth. Mentre Von Frankestein sposerà la sua assistente Inga.

Considerato in tutto il mondo un cult movie della comicità, Frankenstein Junior è la quarta pellicola di Mel Brooks. Il film è un’esilarante, quanto libera, rivisitazione del romanzo di Mary Shelley e della cinematografia a questo dedicata (primo tra tutti il film “Frankenstein” di James Whale del 1931).

Anno: 1974
Nazione: USA
Durata: 106
Regia: Mel Brooks
Sceneggiatura: Mel Brooks, Gene Wilder
Montaggio: John C. Howard
Fotografia: Gerald Hirschfeld
Musica: John Morris
Cast: Gene Wilder, Peter Boyle, Marty Feldman, Madeline Kahn, Gene Hackman, Cloris Leachman
Produzione: MICHAEL GRUSKOFF PER 20TH CENTURY FOX, CROSSBOW PRODUCTIONS, GRUSKOFF/VENTURE FILMS, JOUER LIMITED

Harry a pezzi di Woody Allen, USA, 96′
Harry a pezzi - PKF2007

Harry a pezzi – Deconstructing Harry

Harry Block è uno scrittore ebreo, vive a New York, e si trova in un momento di crisi. Non si sente ispirato nella scrittura e capisce che alla sua crisi artistica corrisponde quella della vita reale. Così per risolvere i suoi problemi si mette in gioco e cerca di far luce sul suo passato, sulla famiglia e sui suoi tanti amori. Così, in questo bilancio esistenziale, il suo mondo si confonde con quello dei personaggi dei suoi romanzi, che si materializzano nella vita reale, così Harry capisce che forse la risposta alle sue domande risiede proprio nelle creature che lui stesso ha creato.

Il titolo originale del film, “Deconstructing Harry”, rende omaggio al padre del decostruzionismo, il filosofo francese Jacques Derrida. Seppur Allen abbia negato riferimenti autobiografici all’interno del film, qualcuno ha rinominato ironicamente la pellicola “Self deconstructing Woody”. Sulla scena si alternano grandi star di Hollywood, come Dami Moore, Billy Crystal e Robin Williams, che recita interamente la sua parte “fuori fuoco”.

Anno: 1997
Nazione: USA
Durata: 96
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Montaggio: Susan E. Morse
Fotografia: Carlo Di Palma
Musica: Johnny Green, Edward Heyman, Antonio Carlos Jobim
Cast: Woody Allen, Kristie Alley, Billy Crystal, Demi Moore, Robin Williams, Eric Bogosian, Elisabeth Shue, Judy Davis, Hazelle Goodman
Produzione: MAGNOLIA PRODUCTIONS, SWEETLAND FILMS – JEAN DOUMANIANMAGNOLIA PRODUCTIONS, SWEETLAND FILMS – JEAN DOUMANIAN

It Sounds Better in Yiddish di Anat Seltzer e Modi Bar-on, Israele, 52′
It Sounds Better in Yiddish - PKF2007

It Sounds Better in Yiddish – BeYiddish ze nishma yoter tov (Detto in Yiddish é meglio)

Nell’inverno del 1950 nevicò a Tel Aviv e a Haifa. Subito dopo dall’Europa arrivò in Israele la più famosa coppia di comici in lingua Yiddish della storia, Dzigan und Schumacher. La vicenda della loro immigrazione in Israele è anche la storia della difficoltà di integrazione dell’umorismo yiddish in Terra Santa. Dopo essere stati in Europa delle stelle incontrastate, in Israele furono costretti ad apparire sulle scene, più che in yddish, in lingua ebraica, perchè più adatta alla nuova nazione appena risorta sulla terra dei padri. Ma come presto scoprirono i due non era possibile tradurre ogni barzelletta in ebraico perché “detta in Yiddish è meglio”.

Questa è la terza puntata della serie televisiva “BeMedinat HaYehudim” (Nello Stato degli ebrei) creata da Anat Zeltser, Modi Bar On, Arik Bernstein, e Ami Amir
Direttore della Regia: Gabi Bibliovitc, serie di dieci puntate che segue la storia dell’umorismo e della satira in Israele dove si è cercato di creare uno humor di carattere nazionale, diverso da quello dell’ebraismo europeo e della Diaspora.

Anno: 2006
Nazione: Israele
Durata: 52
Regia: Anat Seltzer e Modi Bar-on
Sceneggiatura: Anat Seltzer e Modi Bar-on
Montaggio: Ami Tir
Fotografia: Boaz Yehonatan Yakov
Musica: Hayahalomim
Produzione: Matar productionn Ami Amir e Arik Bernstein

Hollywood, Vermont di David Mamet, USA, 102′
Hollywood, Vermont - PKF2007

Hollywood, Vermont – State and Main

Il regista Walt Price, per risparmiare soldi, decide di spostare il set del suo film in una cittadina del Vermont, Waterford. Arrivati a destinazione la troupe si rende conto che la nuova location non è così adatta alle riprese, per esempio il vecchio mulino, dove deve aver luogo un’importante scena del film, non c’è più a causa di un incendio avvenuto anni prima. Così Joseph Turner White, lo sceneggiatore, deve rimettersi a lavoro e cercare nuovi spunti. Intanto la troupe porta scompiglio nella cittadina.

Unica commedia di David Mamet, “Hollywood, Vermont” è un film sul cinema. Mamet prende di mira Hollywood, attraverso il ruolo interpretato da due grandi star della scena americana Alec Baldwin e Sarah Jessica Parker. Con la sua satira pungente il regista affronta di nuovo i temi che caratterizzano gran parte della sua produzione cinematografica e teatrale come l’inganno e l’ambiguità.
 

Anno: 2000
Nazione: USA
Durata: 102
Regia: David Mamet
Sceneggiatura: David Mamet
Montaggio: Barbara Tulliver
Fotografia: Oliver Stapleton
Musica: Theodore Shapiro
Cast: Alec Baldwin, Philip Seymour Hoffman, Sarah Jessica Parker, William H. Macy
Produzione: Sarah Green per Green/Renzi, El Dorado Pictures, Filmtown Entertainment, Fine Line Features

Omaggio a Daniel Burman

Aspettando il Messia di Daniel Burman, Argentina, Italia, Spagna , 98′
Aspettando il Messia - PKF2007

Aspettando il Messia – Esperando al Mesias

A Buenos Aires si incontrano diverse storie di uomini e donne. C’è Ariel, un ragazzo ebreo alle prese con una crisi di identità, che esce dal suo ambiente (che chiama “la bolla”) e si affaccia sul mondo, scoprendo persone diverse con le quali non era abituato a relazionarsi. Poi Santamanria, un uomo che perde di un colpo lavoro, casa e famiglia, e cerca di ricostruirsi una vita. Elsa invece aspetta da anni che il marito esca dal carcere.

Aspettando il Messia è stato presentato nel 2000 alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Cinema del Presente. Il film ha vinto il Premio del Pubblico al Festival di Biarritz, il Premio della Critica al Festival di Valladolid ed il Premio per il Miglior Film al Festival di Havana. Per questo film Daniel Hendler ha avuto la Menzione Speciale come migliore attore al Festival del Nuovo Cinema Indipendente di Buenos Aires.

Anno: 2000
Nazione: Argentina, Italia, Spagna
Durata: 98
Regia: Daniel Burman
Sceneggiatura: Daniel Burman, Emiliano Torres
Montaggio: Veronica Chen, Jacopo Quadri
Fotografia: Ramiro Civita
Musica: Andrea Guerra, Cesar Lerner, Marcelo Moguilevsky
Cast: Daniel Hendler, Stefania Sandrelli, Chiara Caselli, Enrique Pineyro
Produzione: CLASSIC, ASTROLABIO PRODUCCIONES, BURMAN DUBCOVSKI CINE

El abrazo partido di Daniel Burman, Argentina, Francia, Italia, Spagna, 100′

Ariel vive a Buens Aires con sua madre, che ha un negozio di biancheria intima in un centro commerciale. La sua famiglia è di origine ebraica: il padre dopo la sua nascita ha abbandonato il Sud America per andare a combattere in Israele e non è mai tornato. Così Ariel cerca nel passato della sua famiglia, fino a quando quelli che a lui sembrano inspiegabili misteri si svelano quando il padre decide di tornare a Buenos Aires.


El Abrazo Partido è la quarta pellicola girata da Daniel Burman e consacra il regista argentino (classe ’73) al successo della critica. Il film nel 2004 si è aggiudicato molti premi, tra cui i più prestigiosi l’ Orso d’Argento Gran Premio della Giuria e Orso d’Argento per il Miglior Attore (Daniel Hendler) al Festival di Berlino.

Anno: 2004
Nazione: Argentina, Francia, Italia, Spagna
Genere: Lungometraggio
Durata: 100
Lingua: Spagnolo
Regia: Daniel Burman
Sceneggiatura: Daniel Burman, Marcelo Birmajer
Montaggio: Alejandro Brodersohn
Fotografia: Ramiro Civita
Musica: Cesar Lerner, Andrea Guerra
Cast: Daniel Hendler, Sergio Boris, Diego Korol, Adriana Aizemberg
Produzione: BD CINE SRL, PARADIS FILM, CLASSIC, WANDA VISION

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